Cucina

Matteo Baronetto

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Pubblicato il 25/08/2015
Di Team Digital
Matteo Baronetto

... a Identità Expo

La musica serve anche a curare la tonsillite? Un medico forse storcerebbe il naso, eppure «le canzoni di Giorgio Gaber sono state fondamentali, per me, quando avevo tanti problemi alla gola, non sapevo se operarmi o no, volevo tirare avanti il più possibile ma soffrivo».


A parlare è Matteo Baronetto, classe 1977, miglior sous chef per la guida Identità Golose 2009; originario di Giaveno (i genitori erano operai Fiat), l’ex sous chef più invidiato d’Italia – è stato per quasi un ventennio il “secondo” di Carlo Cracco – dall’aprile dello scorso anno è impegnato come primo cuoco in un indirizzo storico e blasonato, quel Del Cambio di Torino che ha avuto tra i propri clienti anche un certo Camillo Benso, conte di Cavour.


E proprio a Cavour è dedicato uno dei piatti che Baronetto ha presentato a Identità Expo: l’impegnativo Riso Cavour. Si dice che colui che è stato tra i protagonisti dell’Unità d’Italia si facesse riscaldare il riso, ci aggiungesse un uovo in camicia e sopra pomodori cotti e salsa di carne. Baronetto ribalta e modernizza: «In fondo metto una salsa al pomodoro molto concentrata, poi un uovo cotto al vapore, sopra il Carnaroli bollito in acqua profumata ai chiodi di garofano e poi rosolato in padella. Aggiungo una nota croccante con del riso Venere cotto, seccato e fritto; infine sugo di carne e germogli di piselli per dare un tocco vegetale. E’ un piatto saporito, con qualche accenno orientaleggiante, penso al riso alla cantonese». Non c’è grasso a mantecare il riso: quando si affonda la forchetta il tuorlo dell’uovo va a mischiarsi con gli altri elementi, in un tripudio di golosità, «ricorda anche un’insalata di riso calda, potrebbe addirittura essere un piatto unico. E’ uno dei primi che ho ideato al Del Cambio».


Prima del riso, un antipasto fresco: Insalata di capesante alle alghe, lattuga al moscato e mandorle amare. E poi come terza portata il Branzino al vapore e coda di manzo brasata, che merita qualche parola in più: «E’ facile parlare in questo caso d’incontro di mare e terra: ormai è una scelta non considerata azzardata come lo poteva essere ai tempi in cui Alain Chapel propose la sua (all’epoca scandalosa, era il 1972, ndr) Insalata di astice blu, piccione rosato, valeriana e tartufo nero. Però il connubio è tutt’altro che semplice, se si vuole ricercare una certa eleganza». Baronetto – già autore, in tema, del celebre Rognone e ricci di mare, quando era ancora con Cracco – la trova mettendo insieme la diversità, yin e yang, la nobiltà del branzino e la rusticità della coda di bue, la delicatezza e la sapidità. Equilibrio raggiunto? Il pesce è appena scottato al vapore; al contrario la coda viene cotta a lungo nel brodo, come fosse un brasato senza vino, in modo che si sfaldi e il suo collagene diventi gelatinoso. Così ridotta, viene messa sopra il branzino: «Copre, ma non sovrasta», assicura lo chef.


Finale dolce con Bonét, latte al caffè e caramello, un dossier classico ma rivisto, di grande eleganza come la musica che Baronetto predilige: «Sono sempre stato un grande fan di Sting. Indimenticabile un mitico concerto cui andai a Torino, mi pare fosse il 1996, per l’album Mercury Falling. Lo riascoltavo proprio in questi giorni: meraviglioso».


Poi tanta Italia: Vasco Rossi, Enzo Jannacci, Franco Battiato, il citato Gaber («Ricordo un suo concerto al Politeama di Asti, sarà stato il 1997…»). Oppure anche Cesare Cremonini, «l’ho anche conosciuto personalmente, a Milano, quando ancora lavoravo con Carlo (Cracco, ndr). Ne è nato un simpatico rapporto di amicizia».


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